Il fenomeno breakdance: genesi e storia

Alcuni coreografi o ballerini ritengono che tale fenomeno non sia inquadrabile nella danza: beh.. secondo me hanno ragione.. non è danza: in alcuni casi è effettivamente qualcosa di diverso, in altri casi è molto di più. Il bello della Breakdance è che si distingue dalle varie forme di danza non solo per i suoi stili originali e in continua evoluzione ma per essere caratterizzata da un’ anima prima ancora che da una tecnica. Nasce a cavallo tra gli anni ‘70 e ‘80 l’ arte che per la prima volta riesce a combinare in una stupefacente simbiosi l’ armonia del movimento a tempo di musica con un’ energia tutta nuova, un’ energia dirompente che non può esprimersi appieno se non con un vero e proprio atteggiamento, un vero e proprio modo di essere. Questa rivoluzionaria espressione corporea trova terreno fertile proprio .. sulla strada, negli emarginati quartieri neri di New York, dove niente di meglio avrebbe potuto germogliare se non la voglia di emergere con qualcosa che ti senti dentro nell’ anima e che appartiene solo a te. La stessa voglia di emergere che ha contraddistinto i primi rappers o i primi DJ che hanno scandito i ritmi del breakbeat. La fonte d’ ispirazione più basilare della Breakdance è data dal ritmo e dai passi del Boogie (precursore dello stesso Rock an’ Roll) a partire dalla fine degli anni sessanta: il primordiale embrione della Break è ricordato col nome di Good Foot, dalla hit di James Brown del 1969 “Get On The Good Foot”. Nel frattempo, sempre nel 1969, a Los Angeles inizia a farsi conoscere lo street-dancer Don Campbell il quale inventa un nuovo ballo caratterizzato dai blocchi dei movimenti: il Campbellock. Da qui deriva quell’ evoluzione caratterizzata da movimenti robotici (robot), magiche fluttuazioni (waving), blocchi (locking), scatti esplosivi e vibrazioni elettriche (popping): il filone di vecchia scuola dell’ Electric Boogie. Già da quanto detto finora si può intuire a cosa sia dovuta la denominazione di “break”, che vuol dire letteralmente “spaccare”. La nascita del breakbeat creato dall’ abilità di mixage dei DJ invoglia i ballerini di strada ad una evoluzione del proprio stile delineata da sempre più infuriati giochi di gambe (top rock o uprocking), combinazioni di mani e di piedi (footwork), posizioni statiche che sfidano la forza di gravità (freeze). Tale evoluzione viene a poco a poco influenzata da varie espressioni corporee acrobatiche come la ginnastica artistica, il kung fu (l’ arte marziale cinese di Bruce Lee) e la capoeira (arte marziale brasiliana). Da qui deriva l’ altro grande filone del breaking, quello dei movimenti di rotazione: gli spinning moves o power moves (fra cui uno dei più conosciuti e basilari è il windmill, consistente nel far girare le gambe all’ aria proprio come le pale di un mulino a vento). Non si è mai vista diffondersi in tutto il mondo un’ altra arte corporea così innovativa e così aperta all’ influenza di discipline provenienti da culture diverse: la già vasta gamma di varianti nel movimento del breaking (freestyle) è sempre libera di poter essere arricchita dalla grande creatività dei breakers. Ragazzi con il ritmo nel sangue provenienti da ogni nazione che quando s’ incontrano per esibirsi sulla strada, sui palcoscenici o nelle palestre di tutto il mondo mostrano o semplicemente interpretano quello spirito di sfida e quell’ atteggiamento da duro un pò spaccone (non a caso forse la parola “breaking”!??!) tipico dei ragazzi di strada. Non bisogna mai dimenticare che la vera origine di questo fenomeno è la strada. Riguardo la sua maturazione ed espansione a livello planetario, bisogna tuttavia dare la giusta importanza al ruolo pubblicitario che ha avuto il mondo del media-business, il cinema e la musica popolare. Basti pensare che quando nel 1974  il giovane Michael si esibisce in TV con passi di street-dance chiamati robot per presentare il nuovo singolo dei Jackson Five “Dancing Machine”, nel giro di pochi giorni sembra che tutti i ragazzi degli Stati Uniti non sappiano fare altro che ballare il robot. La diffusione mondiale della Breakdance va infatti a braccetto con il grande exploit video-musicale degli anni ‘80 che ha segnato indelebilmente l’ attuale era della Pop Music in tutte le sue infinite varianti: qui mi riferisco ancora alla particolare genialità di ballerino dell’ ex-bambino prodigio Michael Jackson, il quale all’ apice della sua carriera, nonchè nel pieno del più grande successo mondiale che abbia mai avuto un cantante, esprime al massimo della visibilità (sia nei video-clip, sia nei concerti) un’ eccezionale virtuosismo innato e un più che mai innovativo stile, consolidandosi come principale modello di gusto stilistico fra i ragazzi che si avvicinano alla Break. C’ è forse qualcuno, tanto per fare un unico esempio, che non abbia mai ammirato il grande Michael esibirsi nel Moonwalk, la famosa “camminata sulla luna” nata come passo di Breakdance ma perfezionata e stilizzata dall’ ancora oggi incontrastato Re del Pop? Quello della Michaelmania è tuttavia un fenomeno a parte, che ha avuto e continua ad avere punti di contatto con il mondo della Break ma che non è inglobabile ad esso. Inoltre nel 1983 esce nelle sale cinematografiche di tutto il mondo “Flashdance”: il primo grande film che pur non essendo incentrato sul breaking, come invece in precedenza lo sono state altre pellicole (quali “Wildstyle” o “Stylewars”), propone una piccola scena di B-boyng (break-boys o breakers). Tutto ciò consente a far che la Breakdance cominci ad essere esportata e praticata anche al di fuori di New York (a cominciare da Los Angeles e la California) e degli Stati Uniti d’America.

Ma passiamo ora a parlare dei protagonisti autenticamente appartenenti a questo fenomeno e, in quanto tali, inquadrabili come esponenti dell’ arte Breakdance. Quando si parla di B-boys prima ancora che di singoli si parla di bande dette crews, esattamente come per gli MC (Master of Cerimony) o rappers e per i DJ. B-boys della primissima generazione si riscontrano nel quartiere newyorkese del Bronx già a metà degli anni ‘70: “The Nigger Twins” (Keith e Kevin), i veri pionieri del b-boyng, inventori intorno al 1974 dei footwork e dei primi spin (handspin), Clark Kent (Tyrone Smith), che capeggiato dal DJ Jamaicano Kool Herc (inventore del termine B-boy), assieme all’ MC Coke la Rock e il DJ Timmy Tim, forma nel 1975 la “Kool Herc and Herculoids”, “The Shaka Zulu Kings” (Beaver, Robbie Rob e Swain), appartenenti alla “Universal Zulu Nation” fondata dal DJ-rapper Afrika Bambaataa nel 1974, di cui Beaver è tuttora considerato uno dei migliori B-boys di tutti i tempi e Swain è ancora oggi ricordato come l’ inventore degli headspin (i giri sulla testa). La prima crew di breakers di cui si conosca la vera affermazione e sicuramente la più leggendaria è la “Rock Steady Crew”: fondata nel 1977 nel Bronx dai b-boys Jimmy Dee, Jimmy Lee e Joe Joe, fra i cui principali esponenti ad oggi citiamo Crazy Legs, Prince Ken Swift, Mr. Wiggles e Orko. I membri della “Rock Steady Crew” decisero che qualsiasi altro B-boys aspirasse ad entrare nella crew avrebbe dovuto sfidare e battere uno di loro in una competizione di B-boying (battle). Da tale espressione di sfida, nonchè manifestazione di spirito battagliero, nasce la cultura e il rito della competizione attualmente comuni ai breakers di tutte le nazionalità. Ma, soprattutto, da qui deriva uno stile di vita comune a milioni di giovani in tutto il mondo che trova il suo punto di forza nel fatto di dover soltanto uscire per strada per trovare uno spazio che ti faccia star bene: uno spazio dove puoi esprimerti caratterialmente oltre che artisticamente. Poco dopo nasce a New York un’ altra grande crew nella quale Michael Holman raggruppa i migliori breakers delle altre piccole bande che si sono formate in tutti i quartieri della città: la “New York City Breakers”. Si può avere un’ idea delle leggendarie sfide delle due grandi crews guardando alcune immagini del film del 1984 di Stan Lathan: “Beat Street”. Altri film da segnalare incentrati sul B-boyng sono: “Breakin’” (1984) di Joel Silberg, “Breakin’ 2: Electric Boogaloo” (1984) di Sam Firstenberg, “Wild Style” (1982) di Charlie Ahearn e “Style Wars” (1983) di Tony Silver. Fra i numerosi membri del “New York City Breakers” menzioniamo: Noel Mangual (Kid Nice), Chino Lopez (Action), Ray Ramos (Lil Lep), Matthew Caban (Glide Master), Corey Montalvo (Icey Ice), Tony Lopez (Powerful Pexster), Bobby Potts (Flip Rocks). La prima eclatante dimostrazione del successo mondiale della Break è la nascita della “Tokyo Rock Steady Crew”, crew nipponica chiaramente ispirata all’ omonima newyorkese, di cui il più carismatico leader è Crazy-A.

Aprendo una doverosa finestra sullo scenario del nostro paese, il leader incontrastato della Break italiana è senz’ altro Maurizio Cannavò, meglio conosciuto come The Next One. Nato in Sicilia nel 1969 e cresciuto a Torino s’ impone come breaker più forte del mondo nel 1985 vincendo il “World Championship for Break-Dance”, riconosciuto dalla I.D.O.(International Dance Organization). La sua carriera artistica ha una svolta essenziale nel momento in cui conosce Africa Bambaataa, entrando a far parte della “Universal Zulu Nation” di cui è ancora oggi esponente. Presto si avvicina concretamente all’ arte del DJing iniziando anche una carriera musicale nel 1986 con il suo primo disco “Wild Style” (composto naturalmente da pezzi adatti soprattutto ad essere “breakati”). Nel 1991 si trasferisce a New York ed entra a far parte del leggendario “Rock Steady Crew” dove Prince Ken Swift e Mr. Wiggles lo definiscono dotato di esplosive tecniche di ballo ed un unico inconfondibile stile. The Next OneAttualmente The Next One è lui stesso fondatore e leader di “The Next Level”, un’ organizzazione che comprende breakers provenienti da ogni parte del mondo. Occorre a questo punto fare una distinzione fra breaking di vecchia scuola, di cui mi sono occupato fino ad ora, e breaking di nuova scuola. La vecchia scuola, prima fra tutte la “Rock Steady Crew”, pur essendo inventrice di backspin e windmill nonchè sviluppatrice dei power moves, predilige senz’ altro la parte stilistico-coreografica del breaking, composta da top rock, footwork e freeze, in quanto più utile alla creatività dell’ artista e di conseguenza alla personalizzazione e originalità del proprio stile. Quella che è invece vista come la nuova scuola del breaking predilige la sua parte squisitamente acrobatica: quella dei power moves o movimenti di rotazione. Le crews di questa nuova guardia, anch’ esse newyorkesi, sono: la “Mop Top” (la cui “Elite Force” è composta da Buddha Strecht, Henry a.k.a. Link, Loose Joint ed E-Joe Willson), la “Misfitss” (Rubber Band, Peek A Boo e Mush Mouth), e la “World Soul” (Brian, Marjory, Shannon, Cue, Justice, Tony, Dominique, Shinya, Spex, Kuni, Minako, Sako e Kaoru). Da annoverare infine anche la crew giapponese di Osaka “Electric Trouble” (Yokoi, Massan, Q, Bon e Shoei). Gli esponenti della new school, primo fra tutti E-Joe Willson (consideratone uno dei migliori rappresentanti), ritengono che nei power moves non ci si debba controllare per seguire il ritmo ma è la musica a controllare direttamente il corpo. Questa nuova scuola si consolida intorno al 1988 assieme ad un nuovo genere stilistico di mixage musicale: l’ House, perfetta per accompagnare esibizioni acrobatiche di power moves e molto facilmente adattabile alle diverse culture stilistiche. Infine fra le più o meno atipiche protagoniste femminili, in quanto provenienti al di fuori della cultura dei crews, meritano di essere citate: Leslie “Big Lez” Segar (principale ballerina in video musicali di artisti come Michael Jackson, “Remember The Time”, e Whitney Houston, “I’ m Every Woman”), Fatima Robbinson (anch’ essa ballerina in “Remember The Time” e vari video di Mary J. Blige) e Marjory Smarf (membro della “World Soul” e una delle più abili b-girls nell’ esecuzione dei power moves). Il principale punto di riferimento della Break mondiale continua ad essere ai giorni nostri la “Rock Steady Crew”, creatrice e organizzatrice annuale dei più grandi e importanti eventi internazionali di B-boyng: il “B-boy Summit” e il “Rock Steady Anniversary”. Dopo un oscuro breve periodo di flessione della popolarità del B-boyng negli ultimi anni ’80 (circa tra l’ 86 e l’ ’89) si ha la resurrezione del 1990 con la riaffermazione definitiva come cardine incontrastabile della Break della “Rock Steady Crew”, nonchè old school, la quale riprende con decisione le redini del B-boyng mondiale in tutti gli anni ‘90 sino ad oggi. Si può dire dunque che la “Rock Steady Crew” si sia davvero dimostrata la “roccia stabile” del B-boing che si era prefissa di essere sin dalla sua nascita. Si conclude qui questo primo fantastico viaggio generale nell’ universo della Breakdance, il quale spero sia servito almeno a dare un’ idea di questo meraviglioso mondo come il frutto di un’ unione planetaria di passioni artistiche ma soprattutto, per tanti ragazzi in tutto il globo, di sentimenti comuni come quelli di ribellione, espressione, comunicazione, trasgressione, evasione, rivalsa: semplicemente l’ indomabile spirito di libertà e l’ incontenibile gioia di vivere.

Testo: Francesco Magna a.k.a. The Italian Stallion

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